Con la Sent. 19 giugno 2015, n. 12722 la Corte di Cassazione ritorna a soffermarsi sulla delicata questione riguardante l’individuazione delle condizioni legittimatrici del riconoscimento del c.d. danno morale catastrofale in favore degli eredi della vittima che sia deceduta quasi subito dopo aver subito le conseguenze dell’evento costituente illecito extracontrattuale.
a cura di Aldo Carrato

Il caso e la soluzione

A seguito della morte intervenuta dopo circa un’ora dalla verificazione del sinistro stradale di un giovane, gli eredi agivano nei confronti del responsabile civile e della sua compagnia assicuratrice per l’ottenimento dei conseguenti danni spettanti per a titolo autonomo e a titolo ereditario. Il Tribunale adito accoglieva, per quanto di ragione, la domanda proposta, liquidando la relativa somma riconosciuta a titolo risarcitorio. Sull’appello dei convenuti, la Corte territoriale accoglieva parzialmente il gravame, riducendo il capitale quantificato con la decisione di prime cure ed escludendo la spettanza del danno “iure hereditatis”, sul presupposto che nessun danno non patrimoniale poteva dirsi sofferto dalla vittima, deceduta soltanto dopo poco più di un’ora dal sinistro e senza che fosse stata fornita la prova che egli avesse ripreso conoscenza. Investita con ricorso dagli eredi della vittima, che contestavano quest’ultimo profilo, la Corte di cassazione, con la sentenza qui segnalata, confermava la statuizione di appello.

Impatti pratico-operativi

La sentenza in rassegna è interessante per aver affermato il principio secondo cui, ai fini del riconoscimento del c.d. danno catastrofale, è indispensabile che la vittima, nell’apprezzabile intervallo temporale che ha preceduto la sua sopravvenuta morte, si sia mantenuta lucida ed abbia potuto, così, assumere consapevolezza della estrema gravità delle sue condizioni e, quindi, dell’inevitabile evento letale che si sarebbe per lui verificato. Decidendo in questo senso la Corte ha inteso confermare l’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità in base al quale la paura di dover morire, provata da chi abbia patito lesioni personali e si renda conto che esse saranno letali, è un danno non patrimoniale risarcibile soltanto se la vittima sia stata in grado di comprendere che la propria fine era imminente, sicché, in difetto di tale consapevolezza, non è nemmeno concepibile l’esistenza del danno in questione, a nulla rilevando che la morte sia stata effettivamente causata dalle lesioni. In altri termini, alla stregua dell’indirizzo cui ha aderito la sentenza in commento, in caso di morte della vittima a poche ore di distanza dal verificarsi di un sinistro stradale, il risarcimento del c.d. danno “catastrofale” -ossia del danno conseguente alla sofferenza patita dalla persona che lucidamente assiste allo spegnersi della propria vita- può essere riconosciuto agli eredi, a titolo di danno morale, solo a condizione che sia entrato a far parte del patrimonio della vittima al momento della morte, con la conseguenza che, in assenza di prova della sussistenza di uno stato di coscienza della persona nel breve intervallo tra il sinistro e la morte, la lesione del diritto alla vita non è suscettibile di risarcimento, neppure sotto il profilo del danno biologico, a favore del soggetto che è morto, essendo inconcepibile l’acquisizione in capo a lui di un diritto che deriva dal fatto stesso della morte; e, d’altra parte, in considerazione della natura non sanzionatoria, ma solo riparatoria o consolatoria del risarcimento del danno civile, ai congiunti spetta in questo caso il solo risarcimento conseguente alla lesione della possibilità di godere del rapporto parentale con la persona defunta. Non può, però, non darsi atto anche del minoritario indirizzo contrario per il quale il risarcimento del danno non patrimoniale da perdita della vita -bene supremo dell’individuo, oggetto di un diritto assoluto ed inviolabile- deve ritenersi garantito dall’ordinamento in via primaria anche sul piano della tutela civile, presentando carattere autonomo, in ragione della diversità del bene tutelato, dal danno alla salute, nella sua duplice configurazione di danno “biologico terminale” e di danno “catastrofale”; esso, pertanto, rileverebbe di per sé, a prescindere dalla consapevolezza che il danneggiato ne abbia avuto, dovendo ricevere ristoro anche in caso di morte “immediata” o “istantanea”, senza che assumano rilievo né la persistenza in vita della vittima per un apprezzabile lasso di tempo, né l’intensità della sofferenza dalla stessa subìta per la cosciente e lucida percezione dell’ineluttabilità della propria fine. È auspicabile, in definitiva, che il contrasto sia risolto, se del caso, eventualmente, anche con un intervento delle Sezioni unite.

La decisione in sintesi

Esito del ricorso:
Ricorso respinto.

Precedenti giurisprudenziali:
In senso conforme v. Cass., n. 6754 del 2011 e Cass., n. 13537 del 2014; in senso difforme cfr. Cass., n. 1361 del 2014 e Cass., n. 26590 del 2014.

Riferimenti normativi:
Artt. 2043, 2059 e 2697 c.c.
Cass. Civ., Sez. III, 19 giugno 2015, n. 12722