La Corte di Cassazione ha stilato un decalogo con i principi da adottare come linee guida in materia di danno non patrimoniale alla salute
Con la recente sentenza n. 7513 del 27 marzo 2018, la Terza sezione civile della Corte di Cassazione ha voluto fare chiarezza in ambito di risarcimento del danno alla salute fornendo un vademecum in dieci principi utili per orientarsi tra le varie norme in merito.
L’occasione è stato il ricorso di un uomo che, mentre viaggiava come passeggero in un’automobile del datore di lavoro durante uno spostamento per motivi professionali, è rimasto vittima di un incidente stradale. A fronte dell’evento e dei danni conseguenti, l’uomo ha avuto diritto a una rendita erogata dall’INAIL. Inoltre, ha percepito un risarcimento da parte della Compagnia assicuratrice del veicolo del datore di lavoro. Il danneggiato, però, ha ritenuto il risarcimento inferiore rispetto a quello che avrebbe dovuto percepire e ha citato in giudizio il datore di lavoro e l’assicurazione. Il Tribunale di Frosinone ha accolto la richiesta dell’infortunato. Ma la Corte di Appello, al contrario, ha respinto la domanda di risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante richiesto dal lavoratore a fronte della riduzione del reddito lavorativo, ma ritenuta non provata dai giudici territoriali. Inoltre, la Corte d’Appello ha decurtato dell’aggiuntivo 25% l’importo previsto dal Tribunale di Frosinone a titolo di risarcimento del danno biologico che gli era stato attribuito per la sopravvenuta impossibilità di curare l’orto e il vigneto a causa dei postumi del sinistro. Secondo la Corte di Appello, l’aumento del 25% del risarcimento era errato poiché il danno dovuto al fatto di non potersi più dedicare ad attività ricreative era già stato inserito nella quota prevista come standard nella Tabella del risarcimento del Tribunale di Milano, presa come riferimento per il calcolo.
Secondo gli ermellini, la Corte d’appello aveva ridotto del 25% il risarcimento stabilito dai giudici di prime cure poiché il risarcimento decurtato «già prevede una quota di danno morale soggettivo nell’ambito del danno extrapatrimoniale», dato che «le esigenze di personalizzazione del risarcimento del danno devono muovere da circostanze diverse da quelle che sono diretta e naturale conseguenza del danno biologico».
Dunque, il danno a causa del quale l’uomo era nell’impossibilità di dedicarsi ad attività ricreative era già stato computato con l’applicazione del valore tabellare standard.
Il decalogo del risarcimento danno alla salute
Ma venendo al decalogo della Corte di Cassazione, gli ermellini hanno ribadito i seguenti principi da adottare come linee guida in materia di danno non patrimoniale alla salute:
1) L’ordinamento prevede e disciplina soltanto due categorie di danni: quello patrimoniale e quello non patrimoniale.
2) Il danno non patrimoniale (come quello patrimoniale) costituisce una categoria giuridicamente (anche se non fenomenologicamente) unitaria.
3) “Categoria unitaria” vuol dire che qualsiasi pregiudizio non patrimoniale sarà soggetto alle medesime regole e ad i medesimi criteri risarcitori (artt. 1223, 1226, 2056, 2059 c.c.).
4) Nella liquidazione del danno non patrimoniale il giudice deve, da un lato, prendere in esame tutte le conseguenze dannose dell’illecito; e dall’altro evitare di attribuire nomi diversi a pregiudizi identici.
5) In sede istruttoria, il giudice deve procedere ad un articolato e approfondito accertamento, in concreto e non in astratto, dell’effettiva sussistenza dei pregiudizi affermati (o negati) dalle parti, all’uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, opportunamente accertando in special modo se, come e quanto sia mutata la condizione della vittima rispetto alla vita condotta prima del fatto illecito; utilizzando anche, ma senza rifugiarvisi aprioristicamente, il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, e senza procedere ad alcun automatismo risarcitorio.
6) In presenza d’un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l’attribuzione d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale).
7) In presenza d’un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose de/tutto anomale ed affatto peculiari. Le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l‘id quod plerumque
accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.
8) In presenza d’un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).
9) Ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l’esistenza d’uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (come è confermato, oggi, dal testo degli artt. 138 e 139 cod. ass., così come modificati dall’art. all’articolo 1, comma 17, l. 4 agosto 2017, n. 124, nella parte in cui, sotto l’unitaria definizione di “danno non patrimoniale”, distinguono il danno dinamico relazionale causato dalle lesioni da quello “morale”).
10) Il danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, va liquidato, non diversamente che nel caso di danno biologico, tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore), quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso. Nell’uno come nell’altro caso, senza automatismi risarcitori e dopo accurata ed approfondita istruttoria».
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